LA BUROCRAZIA IN ITALIA? UNA PANDEMIA DA SCONFIGGERE

Articolo di Donato Bonanni

Mentre la politica italiana si scanna e arriva confusamente al voto europeo sui vari e corposi strumenti di finanziamento (MesFondo di garanzia tramite Bei, Sure, Recovery Fund) necessari per contrastare la diffusione del nemico invisibile Covid-19 e per sostenere le economie degli Stati membri, in Europa è stato affrontato anche il capitolo relativo alle regole di funzionamento dei Fondi strutturali e di investimento.

Nella stanza dei bottoni europea si è deciso di modificare e semplificare i regolamenti e le procedure relative all’utilizzo di tali misure per far fronte (con maggiore facilità) alle tante spese per la grave emergenza sanitaria e alle difficoltà economiche di imprese e cittadini.

Ogni singolo Stato appartenente all’Unione europea non sarà più obbligata al co-finanziamento nazionale degli investimenti realizzati con i fondi strutturali e non avrà i vincoli di “concentrazione tematica” delle spese, liberando risorse poste su obiettivi come l’economia circolare o quella “green” che in molti Paesi si faceva fatica a spendere.

Inoltre, ciascun paese ha ottenuto la massima flessibilità tra i fondi con la possibilità di trasferire risorse dal Fondo europeo di sviluppo regionale (Fesr) al Fondo sociale europeo (Fse) e viceversa e quelle da un programma all’altro, sia tra regioni che tra programmi nazionali.

Ciò significa che l’Italia avrà la possibilità di utilizzare queste fonti di finanziamento per acquistare tutto quello che è necessario per contrastare la diffusione del virus compresi i dispositivi sanitari di protezione e prevenzione (mascherine, guanti, occhiali e via dicendo).

Una bella notizia per il sistema sanitario nazionale e per i cittadini.

Da evidenziare, però, un dato significativo che deve farci riflettere: per il ciclo di programmazione 2014-2020 l’Italia ha a disposizione la bellezza di 53 miliardi di euro (destinati alle politiche per la coesione – Fesr-Fse) e non è stata capace di stanziare adeguatamente le stesse risorse per gli investimenti in favore della crescita e dell’occupazione in molte regioni.

Secondo i dati di spesa (al 31 dicembre 2019 –fonte Agenzia per la coesione territoriale) il nostro Paese ha speso più o meno 15 miliardi di euro ovvero il 29 per cento dell’importo complessivamente programmato per il relativo periodo.

Come si spiega tutto questo? È molto semplice.

Il Bel Paese ha una tradizione di lentezza e indolenza figlia di un sistema amministrativo elefantiaco, inadeguato, poco digitalizzato e di una iper legiferazione statale e locale (in generale) farraginosa per le imprese e i cittadini: il mastodontico codice degli appalti (che cambia in continuazione) con i suoi regolamenti e allegati è uno degli esempi del blocco degli investimenti pubblici e privati nelle nostre città.

Per far ripartire il motore del Paese e utilizzare meglio e in modo responsabile tutti gli strumenti di finanziamento (compresi i fondi strutturali europei) per gli investimenti nelle politiche per la coesione e in quelle emergenziali come quella sanitaria, bisogna sconfiggere un’altra pandemia: la burocrazia.

In tempi di crisi (ma vale anche per il dopo-crisi) è inevitabile accelerare e trasformare realmente la pubblica amministrazione (attraverso la riorganizzazione e la reingegnerizzazione dei processi) sfruttando la forza delle tecnologie digitali.

La semplificazione amministrativa deve rappresentare uno snodo essenziale per assicurare quel sostegno a milioni di famiglie e imprese conservando capacità produttiva e redditi adeguati. L’Italia deve reagire e non può più sbagliare un colpo. Le priorità improcrastinabili del Governo?

Velocizzare (con tutte le deroghe possibili) e impiegare tutte le risorse economiche disponibili per gestire la grave emergenza sanitaria e per sostenere e ricostruire il nostro tessuto economico e sociale.




Fonte: Pubblicato il 22 aprile 2019 su L’Opinione delle Libertà

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