LEGGE DI BILANCIO 2023/ Le promesse mantenute e i nodi ancora da sciogliere

Il Cdm ha approvato la Legge di bilancio 2023. Molti dei problemi aperti vengono di fatto rinviati al prossimo anno.

Il Consiglio dei ministri ha approvato lo schema della Legge di bilancio 2023 che sarà inviata alle Camere per il percorso di esame e l’approvazione entro la fine dell’anno in corso. Nei prossimi giorni verrà affinato il testo e la lettura finale consentirà di valutare in modo approfondito i dettagli dei singoli provvedimenti.

Il saldo finale della manovra è stato portato a 35 miliardi, mantenendo sostanzialmente inalterata la previsione di un incremento del deficit, dal 3,9% sul Pil stimato dal precedente Governo al 4,5% in relazione al peggioramento delle stima relative alla crescita economica per il prossimo anno. Un saldo negativo, ma che consente di mantenere la rotta della riduzione del debito in rapporto al Pil richiesta dalle Istituzioni europee.

Come sottolineato dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni, l’impianto della manovra rimane condizionato dalla priorità di dare seguito ai provvedimenti per il contenimento dell’impatto dei prezzi dell’energia a sostegno delle imprese e delle famiglie, che impegnano i due terzi delle risorse aggiuntive (21 miliardi) con una particolare attenzione per le persone meno abbienti. Una priorità che ha comportato in parallelo un radicale ridimensionamento delle aspettative suscitate nel corso della campagna elettorale da parte della coalizione di centrodestra.

Quanto è avvenuto nel Regno Unito nei mesi recenti con le ripercussioni negative sui mercati finanziari della proposta di ridurre le tasse, che ha comportato le dimissioni del Primo Ministro e un ribaltamento delle politiche economiche nella direzione di un aumento della pressione fiscale, ha consigliato di adottare comportamenti più ragionevoli all’interno della coalizione che sostiene il nuovo Esecutivo e agevolato l’opera della presidente del Consiglio e del ministro dell’Economia Giorgetti nella predisposizione della proposta finale.

Sottolineare la sostanziale continuità dei provvedimenti rispetto a quelli promossi per le medesime finalità dal Governo Draghi non deve far sottovalutare la portata delle scelte contenute nella proposta della Legge di bilancio.

Lo scenario economico è drasticamente cambiato. I precedenti decreti aiuti hanno mobilitato nel corso del 2022 circa 62 miliardi di euro provenienti per la gran parte dell’incremento delle entrate fiscali legate a una crescita dell’economia superiore alle previsioni e dall’aumento dei prezzi. Condizioni destinate a venir meno nel contesto di una crescita del Pil nel 2023, che nella migliore delle previsioni sarà inferiore di circa tre punti rispetto all’anno in corso, e per l’esigenza di dover finanziare la rivalutazione delle pensioni in essere sulla base del tasso di inflazione registrato nel 2022 e gli oneri derivanti dal rinnovo dei contratti collettivi dei pubblici dipendenti.

La tenuta dei macro obiettivi contenuti nella nuova Legge di bilancio dipende dalla riduzione dei costi dell’energia importata, già parzialmente in atto, e da un andamento positivo dell’economia nazionale. Condizioni tutt’altro che scontate nelle previsioni dei principali Osservatori economici internazionali, buona parte dei quali dà per scontata una recessione nei primi mesi del 2023.

Nel merito, il complesso dei sostegni per il contenimento dei costi energetici ricalca le tipologie dei precedenti decreti aiuti: la riduzione delle accise, dell’Iva sui carburanti e degli oneri di sistema per le tariffe; la concessione di crediti d’imposta alle imprese e dei bonus alle famiglie con redditi bassi per far fronte agli aumenti delle bollette. Con interventi rimodulati rivolti ad allargare la platea delle famiglie beneficiarie (elevando la soglia Isee da 12 mila a 15 mila euro per ottenere il bonus sociale) e aumentando del 5% il valore dei precedenti crediti di imposta a favore delle imprese. Provvedimenti destinati a garantire il prosieguo degli aiuti per i primi tre mesi del prossimo anno.

Nel segno della continuità muovono anche gli interventi rivolti alla proroga per tutto il 2023: della riduzione del 2% dei contributi previdenziali sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti fino ai 35 mila euro, aumentato al 3% per la quota dei salari inferiori a 20 mila euro; la proroga delle anticipazioni dell’età pensionabile previste da Opzione donna con modifiche che confermano l’età di anticipazione a 58 anni, con almeno 35 di versamenti contributivi, con il calcolo del sistema contributivo solo per le donne con almeno 2 figli a carico (60 anni per quelle senza carichi familiari) e dall’Ape social (lavori usuranti e anziani disoccupati in prossimità dell’età di pensionamento).

La possibilità di anticipare l’età di pensione con la quota 102 (64 anni di età e 38 di contributi) in scadenza a fine anno viene sostituita, limitatamente per il 2023 dalla Quota 103 (62 anni di età con 41 anni di contributi) in attesa di una riforma organica per la materia dei pensionamenti anticipati. Un rinvio che accantona anche le ipotesi di intervento più onerose: l’aumento delle pensioni minime e l’introduzione di un’età di pensionamento flessibile. Viene prevista anche una riduzione dei contributi del 10% per i lavoratori che hanno maturato i requisiti di pensionamento e decidono di rimanere al lavoro.

Il pacchetto degli interventi relativi al sostegno del lavoro viene completato dagli sgravi contributivi fino ad un massimo di 6.000 euro anno per le assunzioni a tempo indeterminato, per la riconversione dei contratti a termine in essere, per i disoccupati di lunga durata, le donne fino a 36 anni, beneficiari del Reddito di cittadinanza.

Gli interventi a favore delle famiglie, aggiuntivi a quelli per i costi dell’energia, si completano con l’aumento dell’assegno unico per i figli a carico, con una maggiorazione del 50% del valore per il primo anno e per i nuclei con 3 o più figli a carico e per i primi tre anni di età, e la riduzione dal 10% al 5% dell’Iva per i prodotti per la prima infanzia.

Il pacchetto delle misure fiscali è quello che riscontra il ridimensionamento più consistente rispetto alle promesse elettorali. Niente flat tax incrementale per i lavoratori dipendenti, ritenuta eccessivamente onerosa dalla Ragioneria Generale dello Stato, ma che viene introdotta per i lavoratori autonomi con l’aliquota del 15%, con una franchigia del 5% e con un massimale di 40 mila euro. La soglia della flat flat tax lavoratori autonomi viene estesa a 85 mila euro anno.

Accantonate anche le proposte di estendere i saldi a stralcio e le rottamazioni, la cosiddetta pace fiscale, per una parte sostanziosa dei crediti vantati dall’erario verso circa 19 milioni di cittadini, con la rinuncia totale o parziale degli interessi e delle sanzioni, e l’eventuale sconto e rateizzazione dei pagamenti delle imposte dovute. Messe in campo per ridurre drasticamente il carico di lavoro dell’Agenzia delle Entrate, per il recupero di crediti ritenuti per la gran parte inesigibili o di difficile recupero, e per reperire risorse per potenziare gli interventi della Legge di bilancio. Un obiettivo del tutto illusorio dato che la rinuncia alla quota delle imposte comporta una copertura di spesa per il momento non disponibile.

La proposta di legge limita l’intervento alla cancellazione delle cartelle fino al 2015 di importo inferiore a 1.000 euro, che comportano costi di recupero superiori agli importi richiesti, e una mini sanzione del 5% sostitutiva di interessi e penali per i debiti maturati nel biennio 2019-20.

Condivisibili o meno, il complesso delle misure adottate sul tema del fisco, unitamente alla decisione di autorizzare l’utilizzo del contante per l’acquisto di prodotti e servizi fino a 5 mila euro, rappresentano un cambio di rotta radicale rispetto al percorso di razionalizzazione del sistema fiscale previsto nella legge delega approvata dal Governo Draghi ma non recepita dalle Camere per via dello scioglimento anticipato. Il ritorno alla promozione di provvedimenti spot, alcuni a rischio di incostituzionalità, finalizzati a rispondere alle esigenze delle specifiche categorie. Ma che comportano in parallelo una erosione della base fiscale imponibile a discapito della platea dei redditi medio alti dei lavoratori dipendenti e dei pensionati che si devono fanno carico del 60% delle imposte sulle persone fisiche e del finanziamento delle prestazioni sociali.

La riforma del Reddito di cittadinanza fortemente desiderata per disincentivare i comportamenti passivi nella ricerca di lavoro da parte dei beneficiari e di risparmiare una quota delle risorse finanziarie, si è rivelata più problematica del previsto per via dell’oggettiva impossibilità di cambiare le regole in corso d’opera per gli attuali percettori del Rdc. La proposta di riforma si concentra sulla riduzione della durata del sussidio da 18 a 7/ 8 mesi per i futuri beneficiari con età tra i 18 e 59 anni (abili al lavoro e appartenenti a nuclei senza minori a carico e non autosufficienti) per i quali viene previsto l’obbligo di accettare anche la prima offerta di lavoro congrua e di frequentare corsi di formazione o di riqualificazione, pena la decadenza del sussidio. Gli eventuali risparmi delle risorse saranno accantonati in un fondo che finanzierà la riforma complessiva del Reddito di cittadinanza che viene traguardata al 2024.

Con l’invio al Parlamento del testo finale approvato, inizia il percorso di esame da parte delle Camere. In relazione agli impegni assunti all’interno della coalizione di centrodestra, questo percorso non dovrebbe comportare modifiche sul saldo generale della manovra, ma sui singoli capitoli dovrà fare i conti con le aspettative disattese dei singoli partiti e delle inevitabili pressioni degli interessi delle economici delle varie categorie.

Molti dei problemi aperti, anche per l’oggettiva complessità dei temi trattati e dei provvedimenti da adottare, vengono di fatto rinviati al prossimo anno che si preannuncia alquanto complicato per l’evoluzione dell’economia, degli scenari geopolitici e per le conseguenze che deriveranno dalla definizione delle regole del nuovo Patto di stabilità europeo.

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