ROMA: POTERI SPECIALI E PROGETTI

ARTICOLO DI PIETRO GIUBILO VICE PRESIDENTE FONDAZIONE ITALIANA EUROPA POPOLARE

In una Festa dell’Unità percorsa da nervosismi e preoccupazioni per le elezioni regionali e il referendum , oltre che per la corsa ad ostacoli del governo, il premier Conte se ne è uscito con un ulteriore annuncio, sostenendo che sta lavorando “ad uno Statuto anche normativo  per la Capitale” perché “non possiamo trattare Roma come una città qualsiasi”.  Promettendo che nel Recovery Planci sarà un progetto significativo per Roma”. Del quale, tuttavia, ancora non se ne vede traccia.

Un intervento sostanzialmente occasionale e banale, rispetto al quale il professor Sabino  Cassese, intervistato  nello stesso giorno da Il Messaggero – che ha in atto una campagna martellante (“fin quando dovremo subire questa pena?”) –  ha proposto  un approccio più ampio e convincente : “uno Statuto speciale, una partecipazione statale alla sua gestione, che va aiutata, perché né la classe dirigente politica, né le strutture amministrative ornai reggono più. Tutto è fatiscente dai Municipi al Campidoglio”. All’inizio di agosto lo stesso Cassese, era intervenuto dichiarando  che Roma bisogna  “innanzitutto conoscerla” , poi, come per tutte le capitali, occorrono  “poteri speciali” poiché, del resto , una “posizione speciale è prevista dalla Costituzione e richiede norme ad hoc” .

Il dibattito che ne era seguito  aveva assunto aspetti in buona parte divaganti. A livello governativo si è pensato di istituire un sottosegretario ad hoc “con il compito di dare a Roma quel che è di Roma”, una ipotesi che dimostra la tardiva attenzione nei riguardi della Città in vista delle elezioni di primavera, piuttosto che la reale volontà di affrontarne i veri problemi. Tra l’altro, a questo proposito ciò che si renderebbe necessario  non è  un sottosegretario che si occupi di Roma, ma  normative nuove e  un programma con obbiettivi che vengano riconosciuti di “preminente interesse nazionale”. Al contrario di ciò che si è superficialmente proposto, si dovrebbe riconoscere al  Sindaco della Città Capitale la possibilità di  partecipare al Consiglio dei Ministri quando vengono esaminati provvedimenti che riguardino  Roma. Ciò, indirettamente, avveniva con la legge 396 del 1990, poi abrogata, che aveva istituito un Ufficio del programma di Roma Capitale presso Palazzo Chigi, il cui primo referente  era, appunto, il Sindaco.

Per il futuro di questa Città, tuttavia,  non basta ipotizzare nuovi, speciali poteri. La domanda è semplice: un nuovo status istituzionale per fare che?  Innanzitutto per riaffermare un ruolo che le compete e che è oltre quello di Capitale. Come ebbe a dire Massimo D’Azeglio, mentre si insediava il Nuovo Regno: “Roma è troppo grande per l’Italia .. si lasci a Roma il suo significato universale”  che, tradotto ad oggi, nel tempo della globalizzazione, dovrebbe significare essere, nei fatti e per la Storia, Capitale d’Europa, come suggerì la firma dei trattati europei in Campidoglio nel 1957.

La ripresa di una consapevolezza per farne davvero “una grande capitale europea”  non si recupera con il veltroniano “caleidoscopio di eventi ovunque e per tutti”. I fondi del Recovery Fund che, rimuovendo la neghittosità del governo, si auspica arrivino anche  nella Capitale, dovrebbero contribuire a sanare il debito di infrastrutture della Città e  le urgenze più immediate che, per i servizi, riguardano il completamento del ciclo dei rifiuti e la razionalizzazione del trasporto pubblico. Ci si augura che si compia un adeguato sforzo di progettazione, senza ripescare progetti vecchi e inadeguati.

Come la Fondazione Europa Popolare, affiancando il MCL nazionale e locale,  ha proposto nel convegno di ottobre dello scorso anno ( “Dai mali, le idee. Proposte per Roma”), bisogna innanzitutto sapersi misurare  con l’innovazione, cioè con  le nuove frontiere della comunicazione e dell’informatica, oggi del tutto lasciate alla casualità insediativa ed alla sola iniziativa privata. Su questo aspetto è penalizzante per la Città la decisione del governo di candidare Milano e Torino per le sedi europee del tribunale dei brevetti  e dell’intelligenza artificiale.

Occorre, poi, avere una strategia di intervento:  a cominciare dalla ricucitura tra il centro e le periferie, fermarsi con l’espansione e, per queste ultime,  ricercarne la riqualificazione anche consentendo attività artigianali e di servizio che potrebbero essere trasferite da altre aree urbane;  programmare i possibili nuovi insediamenti anche di edilizia pubblica in ambito metropolitano (sul modello delle new town) fuori dalla città consolidata;  offrire un direzionalità adeguata con un sistema delle centralità  che dovrebbe avere a fianco il volano di vetrina espositiva internazionale;   valorizzare l’immenso patrimonio ambientale e storico archeologico, un “vallo verde e della memoria”, recuperando il  “Progetto Tevere” e gli studi avviati sin  dagli anni ’70, sia nel tratto urbano che dalla Magliana alla foce; affinare e sviluppare una attività turistica che si connetta con i grandi giacimenti culturali della Città; completare la  rete della mobilità integrata; un grande piano per il recupero e il riuso del suo patrimonio edilizio, snellendone le procedure,  a cominciare da una nuova destinazione e valorizzazione degli immobili pubblici, si pensi solo alle caserme del quartiere Prati;  una politica dell’accoglienza rigorosa ed efficiente non lasciata all’improvvisazione e al degrado, senza una concentrazione degli insediamenti; il sostegno urbanistico e l’utilizzo del sistema universitario vasto e poliedrico per qualificare la complessa attività progettuale e amministrativa. Questo ed altro.

L’inadeguatezza della manutenzione ordinaria e dei servizi essenziali (dallo stato delle strade, alla raccolta e trattamento dei rifiuti, dal trasporto pubblico alla cura complessiva della città), a ben vedere,  ha origine oltre che  nel degrado complessivo dell’Urbe che ha perduto la capacità di progettare e pensare secondo il suo ruolo,  nella conseguente inadeguatezza, come denuncia Cassese,  di una classe amministrativa frutto di cooptazione politica, mentre si richiederebbe una vera managerialità in grado di preparare e giudicare progetti e procedure secondo una visione moderna e più avanzata. Lo dimostrano il continuo succedersi di manager nelle municipalizzate. Vengono sistematicamente disattese le proposte che i settori produttivi offrono al dibattito pubblico; non vi è nessuna sede di confronto con le forze vive e gli interessi della Città, comprese le vitali energie del terzo settore che potrebbero integrare le attività di sostegno sociale in quartieri nei quali  crescono povertà economica e miseria sociale.

Scarsa è la consapevolezza delle forze politiche rispetto alla importanza della posta in gioco per la Capitale. Ci si è avventurati, a metà agosto,  nell’ipotizzare le candidature per l’elezione  a sindaco, definita da Edoardo Segantini sul Corriere della Sera una “corsa ad ostacoli”, poiché “governare la Capitale nelle condizioni in cui versa attualmente è un compito che fa tremare i polsi a molti, anche perché il mestiere di sindaco è, in generale, tra i più difficili e i peggio pagati”. Ci limitiamo a queste considerazioni, aggiungendo solo la condivisione, per questa volta,  di quanto affermato dal ”guru” del Pd Goffredo Bettini, e cioè che il sindaco di Roma “vale più di un primo ministro” e, di conseguenza dovrebbe rappresentare non solo una difficile esperienza, ma  un obbiettivo affascinante  per il quale varrebbe la pena di misurarsi, magari con una intenzione meno di immagine e più di sfida concreta per riscattare una Città che, nonostante una certa indolenza, avrebbe ancora voglia e, soprattutto, bisogno  di un futuro adeguato.

Più di cinquanta anni fa’ Ludovico Quaroni, osservando in prospettiva il futuro delle città ed avendo di fronte la condizione della Capitale, scriveva:”Bisogna augurarsi tutti , per Roma come per le altre capitali, un rapido ritorno alla progettazione della città che nasca dalla coscienza per tutti, ma in particolare per i più direttamente responsabili della gestione politica delle cose, dell’urgenza e della possibilità di una città nuova, programmata, disegnata per le nuove esigenze di vita, di gusto e di gusto della vita, sfruttando i tanti nuovi mezzi a disposizione”.

L’illustre urbanista poteva, in coerenza,  indicare questa strada perché, insieme ai professionisti dello  Studio Asse, cogliendo l’esigenza di un fabbisogno di edilizia direzionale e di una modernizzazione della Città,  aveva presentato una proposta progettuale, di livello strategico,  che, inserita nel PRG del 1962-64,  venne specificata  come Asse  attrezzato, in seguito Sdo.

Tanta acqua è passata, da allora, sotto i ponti del Tevere e altrettante amministrazioni si sono succedute al Colle Capitolino. Ma  la sensazione che tende ad emergere  è quella che,  ancora una volta, la prestigiosa carica di sindaco venga disattesa dalle personalità politiche e manageriali più indicate e  vista solo  in funzione di giochi ed alleanze tra partiti. E la stessa sensazione si ha nell’osservare la altrettanto scarsa attenzione alla necessità di tornare , come diceva Quaroni, a “progettare la Città”.   

PIETRO GIUBILO

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